V scoglio



Irreligiosità


Come ben sappiamo lo Scautismo considera la religiosità un elemento fondamentale della formazione personale e la assimila nella spiritualità. Nello scoglio sull’irreligiosità BP non affronta apertamente il problema dell’amoralità e della miscredenza, ma suggerisce un suo modo per raggiungere Dio Creatore attraverso l’attiva contemplazione della natura.
Il lato oscuro dello scoglio è il pericolo dell’ateismo e dell’irreligiosità. Il lato luminoso è la scoperta di Dio e il servizio verso gli uomini nostri fratelli. Lo studio della natura è un aiuto diretto a tale scoperta

Due parole sugli atei.

Padroni essi di avere le loro idee a questo proposito, ma quando tentano, come sempre fanno, di imporle agli altri divengono nemici della peggior specie.
…attaccano direttamente le altrui credenze religiose in modo assai offensivo, ma credo che così facendo, esse in pratica facciano più bene che male alle religioni in questione, perché obbligano la gente a prendere posizione e a passare sopra alla diversità delle proprie opinioni per unirsi in modo da poter respingere questi attacchi.

A parte questi anti-religiosi, c’è una quantità di persone che, senza essere in violenta opposizione alla religione, non hanno un particolare interesse ad essa. Talvolta è perché nessuno ha mai mostrato loro ciò che essa è; in altri casi è perché essi non vi hanno trovato né ispirazione né attrattiva, per cui l’hanno lasciata cadere. […]
D’altra parte, ho conosciuto in foreste selvagge molti uomini decisamente religiosi che da ragazzi non avevano ricevuto in famiglia alcuna istruzione religiosa, ma che erano arrivati da soli a sentire la realtà di Dio attraverso ciò che avevano visto delle Sue opere e delle Sue meraviglie nel mondo.

La religione è indispensabile alla felicità”.

Se vuoi veramente intraprendere la tua strada verso il successo, cioè verso la felicità, non devi soltanto evitare di farti ingannare dai ciarlatani antireligiosi, ma devi dare una base religiosa alla tua vita.
Non si tratta solo di frequentare la chiesa o di conoscere la storia della Bibbia o di comprendere la teologia. Molti uomini sono sinceramente religiosi quasi senza saperlo e senza avere studiato.

N.B. BP da figlio di pastore anglicano da una sua definizione di religione:

La religione molto brevemente esposta significa:
Primo: Sapere chi è e che cosa è Dio.
Secondo: Utilizzare al meglio la vita che Egli ci ha dato e fare quanto Egli aspetta da noi. Ciò consiste soprattutto nel fare qualcosa per gli altri.

La conoscenza della natura punto di partenza per capire la realtà di Dio”.

Spero di non essere frainteso. Non suggerisco lo studio della Natura come un forma di culto o un surrogato della religione, ma sostengo che, in certi casi capire la natura è un primo passo verso la religione.

“Le meraviglie della foresta”. Uno dei brani più profondi di sentimento. Riportato integralmente.

Se non hai mai viaggiato attraverso le foreste del Brasile o dell’Africa Centro-Occidentale, ti riuscirà difficile immaginare la sensazione stranamente ossessiva che si prova avanzando in mezzo a paesaggi che rivelano di primo acchito la bellezza e le meraviglie della giungla tropicale. Essa evoca anche nell’animo dei più insensibili tutta la grazia e la maestosità di una cattedrale. Ma nonostante la sua bellezza la foresta nasconde un senso d’orrore nella sua incerta semioscurità e nella sua vegetazione satura d’acqua. Nell’intricato sottobosco ci si apre un passaggio, con gli alberi sopra di noi che impediscono il passaggio al sole e all’aria. Ed alti al di sopra di questi gli alberi giganti del cotone e gli altri re della foresta ergono le loro cime ad oltre sessanta metri di altezza. Ma è raro che si possano vedere quelle vette quando si è costretti a camminare a tastoni tra la melma e le foglie morte, in mezzo alle liane, ai rovi e alla macchia. Mentre si avanza penosamente per giorni e giorni ed a volte per settimane e settimane, sempre in questa oscurità, si finisce per dimenticare quella bellezza che incessantemente si ripete, ed il senso di clausura diventa un’ossessione dalla quale sai che non c’è scampo né sollievo. Una depressione da malato ti afferra nella sua morsa, ed in qualche caso gli uomini giungono perfino alla melanconia e alla pazzia.
E di sera, quando riposi nell’oscurità, nella dolce calma della notte tropicale, la foresta tace, ma ovunque ci sono piccole voci che parlano. Il canto acuto dei grilli, il gracchiare dei ranocchi, lo sgocciolare e il cadere delle foglie, e il mormorio sommesso delle brezze leggere che scherzano tra i rami, lassù in alto, sopra la tua testa. Di tanto in tanto, a lunghi intervalli, il silenzio è rotto dal più impressionante tra i rumori della foresta: lo schianto strepitoso e lacerante di un nodoso veterano tra i giganti della foresta che soccombe alla sua lunga vita e cade dalla sua orgogliosa posizione per sparire per sempre.
Segue un momento di teso e quasi rispettoso silenzio, e poi le piccole voci della foresta rincominciano i loro mormorii.
L’uomo qui sembra essere del tutto fuori posto, quasi un intruso. Questo è soprattutto un regno di vegetali dove gli insetti sono ammessi. E tuttavia in tutto ciò c’è vita, sensazione, riproduzione, morte e devoluzione che proseguono costantemente, sotto la stessa grande Legge che governa anche noi del mondo esterno. L’uomo ha i suoi compagni nella Natura in mezzo alle piante e agli animali della foresta.
Per quelli che hanno occhi per vedere e orecchie per intendere, la foresta è ad un tempo laboratorio, club e tempio.

“Solo nelle Ande”. Uno dei passi più celebri, dà un’idillica descrizione di ciò che circonda il solitario BP, immerso in paesaggio che ispira poesia, mentre si inerpica fra queste cime sudamericane. L’autore scegliendo per il suo brano questo libro, ha onorato i Rovers di una delle più belle letture di sua produzione.

Nelle Ande, un mattino prima dell’alba, mi misi in cammino da solo per scalare il fianco di una montagna. La fredda oscurità di quell’ora mattutina era accentuata anche dalla profondità del canyon dal quale partii; le montagne si disegnavano attorno a me contro il cielo, ma nell’oscurità era difficile valutarne l’altezza o la distanza. Man mano che salivo il pendio davanti a me la luce gradualmente si apriva, e le masse rocciose ed i picchi si stagliavano sempre meglio definiti. L’aria era molto fredda, chiara e calma, e il grande impressionante silenzio intorno a me sembrava soffocarmi. Non un mormorio di ruscelli, non un canto di uccelli, non la minima brezza! Ovunque il silenzio. E tuttavia non era un silenzio di morte; si sarebbe detto piuttosto che tutto, montagne e valli, picchi e rocce stessero sull’attenti, aspettando e cercando la venuta del giorno. Pareva quasi un sacrilegio romper quel silenzio col rumore dei passi sulle pietre.
Immediatamente attorno a me il fianco della montagna era nudo. Di fronte a breve distanza sopra di me si stendeva l’orizzonte verso il quale continuavo a salire e che continuava ad allontanarsi. Girandomi a guardare dietro di me un orizzonte simile era solo a pochi metri al di sotto e conduceva all’oscurità che avevo lasciato. Uno scrittore, descrivendo la stessa ascensione, ha paragonato lo scalatore ad una formica che si arrampica su un barile. E questo è ciò che provavo.
Poi, al di sopra delle spalle dei picchi che mi circondavano, cominciarono ad apparire le creste delle rocce e vette più alte, simili a giganti illuminati con più forza dalla luce del mattino, ma freddi e duri, in atto di scrutarmi sopra le spalle dei loro vicini più bassi. Ero il solo essere in movimento in quella immensità di rocce e di picchi immoti. Mi sentivo un intruso, e così meschino in quel maestoso dominio.
Qui gli strati e le rocce variegate evocavano le migliaia e migliaia d’anni passati dall’epoca in cui la nostra terra veniva foggiata nel crogiuolo.
Non ero in mezzo a loro che un insetto effimero.
Salivo sempre più in alto; il respiro diventava più difficile, mentre il senso di solitudine e di piccolezza mi cresceva dentro nel silenzio profondo tra quei pinnacoli immensi del tetto del mondo.
A un tratto, sopra uno di questi, vidi un’alta cima di un bianco verdastro coperta di nevi eterne, rigida, stagliata nettamente sul cielo; e poi un’altra, e ancora un’altra da varie parti. Si sarebbe detto che tutti i più alti giganti della catena, i cui fianchi scoscesi non erano mai stati calpestati da piede umano, si fossero drizzati per dominarmi, freddi, severi e spietati. Quelle montagne stupende, quel silenzio pauroso, la solitudine e la immensità di tutto ciò pareva terrificarmi. Non ero più me stesso. Mi venne quasi la voglia di gridare per spezzare l’incantesimo. Ma qui la più potente voce umana sarebbe stata debole come il canto di uno scricciolo che udii un giorno in mezzo alle immense rovine del Colosseo a Roma.
Cercai di chiudere gli occhi a tutto ciò, quando ad un tratto, uno strano bagliore rossastro parve attraversare l’aria al di sopra di me. Voltandomi vidi uno spettacolo che mi fece rimanere senza fiato. Uno dei grandi picchi che un momento prima era quasi di un grigio blu divenne di colpo, nei suoi punti più alti, una massa abbagliante di color rosa arancione, mentre le parti più basse restavano in un’ombra opalescente violetta e blu soffusa di verde; l’intera massa si distaccava con sorprendete nitidezza di contorni e di dettagli sul cielo divenuto più oscuro dietro di lei.
E ben presto, come mi guardavo intorno, tutte le cime, l’una dopo l’altra, si rivestirono del rosa radioso dell’aurora.
Sentivo che ciò era troppo perché potesse essere afferrato da un sola piccola mente mortale; ero un intruso in un luogo sacro. Era qualcosa di arcano ed al di là delle mie facoltà esser lassù a contemplare il risveglio della natura. Nulla poteva collegare quella scena divina alla vita degli uomini che avevo lasciato laggiù sotto di me nell’oscurità.
Continuai ad avanzare inciampando, sgomento fin quasi al terrore per tutto ciò, quando, proprio nel momento in cui avevo più bisogno di un contatto col mondo umano, sull’altura successiva si drizzò davanti a me una figura: la figura del “Cristo Redentore”.
Non era il corpo sofferente che si vede di solito sospeso alla Croce, ma un Essere grande, generoso, dall’ampia veste ondeggiante e con le braccia protettrici aperte in un gesto accogliente.Una bella statua, felicemente situata là allo scopo di segnare la frontiera e come segno di pace perpetua fra l’Argentina e il Cile, ma ancor meglio collocata di quel che non avesse inteso lo scultore, poiché in quel luogo offriva un tangibile legame tra l’umano e il divino, legame che Cristo, nella Suo ora, era venuto sulla terra ad offrire.


Recentemente ho letto da qualche parte: “Si diventa una specie di yoga in montagna dove non si può far altro che camminare, dormire e pensare.
Non so cosa sia, ma i nove decimi di quelli che vivono al di sopra di 1400 metri di altezza sono buddisti. Le montagne quasi li convincono a ciò. Nella calma della notte ascolti la loro voce; sei trascinato nell’immensità mediate che ti circonda. Poi, mentre il fardello delle cure e delle preoccupazioni immediate si allontana, lo spirito si allarga e più ampi cicli di consapevolezza si aprono. Nelle calde città dove gli uomini si accalcano uno deve aver qualcosa a cui attaccarsi: un Salvatore personale, una lanterna in una mano sicura e benevola, una voce che conforta nell’oscurità. Ma qui tu non cerchi, tu sai. L’io scompare. C’è nella natura uno scopo mistico che ti riguarda: da lontano, non individualmente. Puoi aver un sogno tutto tuo, ma fai tutt’uno con tutti i semi dell’erba e con i piccoli sassolini rotondi, senza privilegi”.

Appare evidente che BP ha avuto un contatto con la natura molto stretto e intenso. Ma lui stesso si rende conto che non è possibile per tutti vivere la stessa esperienza, perciò suggerisce col roverismo il miglior rimedio possibile: lo stile di “Vita all’aperto”, tipico dello scautismo.

Forse dirai: “Sì, ma io non posso arrivare alle montagne, agli oceani e alle foreste vergini. Come faccio allora per vedere e capire le meraviglie della Natura ed i suoi messaggi?”.
Ebbene, puoi farlo quasi altrettanto bene nel tuo stesso paese, purché tu voglia uscire dalla città e dai sobborghi, andare all’aria aperta, nei boschi e nei prati.
Con lo zaino in spalla ed un bastone in mano o “con la tua piccola macchina d’acciaio fra le gambe puoi bene andare dove ti piace”, portando con te la tua piccola casa di tela, la coperta, un pentolino, e… la libertà. All’aperto, alla grand’aria di Dio, per un hike, cioè marciando alla ventura per la campagna e abbeverandoti alle bellezze del cielo, della terra e del mare; ammirando i colori dei boschi e dei prati, respirando il profumo dei fiori e del fieno, ascoltando la musica dei ruscelli e degli uccelli e il mormorio del vento, imparando a conoscere gli animali e i loro usi, finché tu ti senta loro compagno e parte del grandioso piano della Natura. […]
Hiking è una vecchia parola inglese che sopravive ancora in molti dialetti locali. Uno dei suoi significati è “muoversi con un movimento vivace”.

Anche in questo capitolo torna a illustrare argomenti di scienze umane, dicendo che anche il corpo umano è un elemento di studio della Natura. Stimola poi l’interesse scientifico verso questa guardandola al “microscopio” e al “telescopio”.  Nondimeno rivolge lo sguardo al mondo animale. Infine parla dell’intelligenza, dell’anima, della coscienza e dell’amore.

Considerando poi gli animali più grandi li troverai sagaci, siano essi addomesticati o no, siano foche o pantere, cavalli o cani. Tutti possiedono un’intelligenza ed una memoria che dirigono la loro azione. […]
Si sono visti animali sacrificare la vita per proteggere i loro piccoli con altrettanto coraggio di un soldato che combatte per il suo focolare ed il suo paese.
Avrai probabilmente posseduto un cane disposto a difendere te ed i tuoi beni anche a prezzo della vita, all’occorrenza, non per una ricompensa ma soltanto perché ti amava.
E tu puoi vedere dai suoi atti come esso gode a manifestare il suo affetto per te. Lo rende felice il poter eseguire i tuoi desideri e farti piccoli servizi.
Anche l’uomo ha tutti questi attributi degli animali. Ha l’intelligenza e la memoria, il coraggio e la cavalleria, l’affezione e al gioia che gli animali possiedono; ma tutto questo in ben più alto grado. Egli ne sa usare per trarne maggior vantaggio.

In quanto uomo tu hai sull’animale un vantaggio: puoi riconoscere ed apprezzare sia le bellezze che le meraviglie della Natura. Puoi gioire della gloria dorata di un tramonto, della bellezza dei fiori e degli alberi, della maestà delle montagne, del chiaro di luna e dei paesaggi lontani. […]
Tu hai tutta questa intelligenza in più, insieme alla capacità di servirtene. Ma essa è sciupata se tu non la usi, oppure se l’adoperi male, come per esempio, per litigare col vicino della porta accanto su qualche meschina questione di politica o di religione, mentre hai attorno a te tutto il vasto universo e Dio per cui lavorare.

Quale è il modo migliore di servirlo usando l’intelligenza ed i mezzi che Egli ti ha donato? [riferendosi a Dio] Se sei in dubbio, domandalo alla tua coscienza, cioè ala voce di Dio che è in te. Essa ti dirà immediatamente ciò che si richiede da te. E generalmente si tratta di dare la tua buona volontà, e di darla con larghezza.
Gli animali possono litigare e battersi, “i cani amano mordere e abbaiare, poiché è nella loro natura” [citazione di Isaac Watts], ma, di regola, non possono elevarsi alla larghezza di spirito, alla carità, alla servizievolezza ed alla bontà. L’uomo può fare ciò quando intende fare sul serio. Cioè quando l’uomo raggiunge il suo vero livello; precisamente, quando esercita l’amore divino che è in lui a servizio del prossimo.

Servire significa sacrificare il proprio piacere o convenienza per dare una mano a coloro che ne hanno bisogno. Ebbene, se tu metti in pratica il servizio degli altri, giorno per giorno, nelle piccole cose come nelle grandi, ti renderai conto di stare sviluppando in te quella scintilla d’Amore finché diventerà talmente forte da sollevarti gioiosamente al di sopra di tutte le piccole difficoltà e noie della vita; ti sentirai al di sopra di esse, sei pieno di buona volontà verso gli uomini, e la coscienza, la voce interiore, ti dice “Ben fatto!” . […]
Più noi dispensiamo al nostro prossimo l’Amore e la Carità, più sviluppiamo la nostra anima.

BP riporta alla fine dello scoglio i due precetti della religione Cristiana, sui quali fonda l’allontanamento dell’irreligiosità e lo stesso servizio al prossimo. (Testo anglicano) 

“Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il massimo ed il primo comandamento. Il secondo poi è simile ad esso: Amerai il prossimo tuo come te stesso.
Su questi due comandamenti poggiano tutta la Legge ed i Profeti”.
Matteo, 23, 37